15 Febbraio 2021

Sebbene non vi si dia particolare spazio negli albi illustrati, qualsiasi sia l’età del loro pubblico finale, e molti illustratori dedichino uno sguardo veloce e sommario all'abbigliamento dell’infanzia, e non solo, che vi rappresentano, al contrario l’importanza dei vestiti nelle fiabe non è nuova. C’è di che riflettere. 

Mai si erano visti simili gale, polsini e risvolti ricamati! Ma la sua grande specialità erano le asole

Beatrix Potter, Il sarto di Gloucester, Sperling & Kupfer, Londra 2001

Non v’è fiaba a memoria d’uomo che non racconti di abiti cenciosi, di sarti dalle mani di fata, di punti dati con meticolosa attenzione e quasi sacralità del gesto - come d’altronde l’alta sartoria insegna e come un re - figuriamoci un imperatore! - o una regina, o ancora di più una principessa invitata al suo primo ballo, non potrebbero accettare diversamente.
Di abiti da gran sera impreziositi con ogni sorta di cristallo e perla, ricamati con l’oro più fino, così come di stivali e soprascarpe magici, di scarpette e cappuccetti rossi, per citarne solo alcuni, le fiabe sono piene. E non si fermano certo all’abito esterno, no, le fiabe sono ricche di ogni sorta di copricapo e camicie (da notte) non sempre convenienti da vedere e che di donante avevano solo quell’aria buffa che assumeva colui che le indossava, soprattutto se svegliato nel cuore della notte di soprassalto quando la punta del berretto finiva dispettosa sul naso o importuna nell’occhio o ancora quando la cuffia si poneva in cima alla testa, come si diceva un tempo, sulle ventitré.

Le fiabe indagano ogni sorta di indumento con cui all’epoca del racconto il ricco e il povero usavano celare le proprie nudità o agghindare il proprio corpo e parlare di sé, del proprio rango e della disposizione verso l’altro chiunque esso fosse. Sino a immaginare stoffe di superba preziosità, ordite con la seta più sottile, impalpabili al tatto, scese da telai dalla perfezione inimmaginabile per il periodo, dai disegni accattivanti e dai colori affascinanti. Spingendosi a immaginare ciò che occhio umano non poteva vedere, fosse solo perché proprio non c’era! 

Hans Christian Andersen, Vilhelm Pedersen, Fiabe e Storie, Donzelli editore, Roma 2001

Nel terzo libretto di Eventyr, fortalte per Børn. Første Samling - Fiabe raccontate per i bambini. Prima raccolta - si trova il secondo racconto firmato da Hans Christian Andersen (il primo era La sirenetta) e illustrato da Vilhelm Pedersen: Kejserens nye klæder - I vestiti nuovi dell’imperatore. Era il 7 Aprile del 1837 e quel credulone dell’imperatore, che Pedersen volle né giovane né vecchio, boccoluto ma non troppo, recando le insegne imperiali tra le mani, scalzo ma incoronato, se ne andava bel bello, riparato dal reale baldacchino, per le strade del suo regno con la sola camicia indosso tra bocche spalancate di increduli sudditi, ammutoliti e attoniti nel vedere il loro reale sovrano aggirarsi così, in déshabillé, praticamente nudo! ma tutti pronti a giurare che mai nessun imperatore aveva indossato abiti così preziosi, dai tessuti di rara bellezza, dalla foggia di gran classe e alta sartoria. Tutti tranne uno con l’indice puntato, ma questa è la nota storia. La camicia, capo indispensabile nei secoli, racconta sin dalla notte dei tempi un preciso status sociale, portato sulla pelle, prima casa del corpo usato di giorno e di notte, indossata sotto gli altri capi che completano l’involucro esterno, classificabile come intimo e quindi appunto sconveniente: vedere un uomo nella sua camicia era come vederlo nudo! Va da sé che mai di uomo, re e imperatore ci si prese più gioco! Pedersen vista l’epoca e il luogo in cui veniva chiamato a illustrare la fiaba e il rispetto che si doveva a un imperatore non poteva certo rappresentarlo nudo con gli attributi al vento in bella vista a uomini, donne e bambini del regno! no certo, quindi si spinse a disegnarlo in camicia e nella sua versione più classica con una breve apertura centrale sul davanti e il piccolo collo bordato da un piedino non più alto di due centimetri che tratteneva, arricciandolo, il tessuto, e a piedi nudi, così come lo poteva vedere solo il suo valletto la mattina appena alzato e la sera prima di coricarsi dopo l’ultimo desiderio espresso in chiaro ordine. Ben si può comprendere lo stupore e l’imbarazzo della folla durante la processione sempre tanto attesa e che da sempre vedeva il vanesio imperatore abbigliato nel più sontuoso e faticoso dei modi. 

Tra tutti gli imperatori creduloni che nei secoli si sono fatti gabbare dai due truffatori, e sono veramente tanti, spicca, più per le sue mutande, quello illustrato dal giapponese Hiroaki Ikeda in  Il vestito nuovo dell'imperatore e altre storie (Mondadori, Milano 1982) che lo vuole come un nonno buono, vecchiotto ma non decrepito con gli occhi dolci dalle palpebre rigonfie, il sorriso compiaciuto di chi sa farsi amare con successo, lo si immagina pieno di parole buone per tutti valletti e vassalli. A questo ricco buon uomo con un debole per abiti e accessori, si potrà togliere la camicia e farlo andare fra la sua gente in mutanda e calzetti all’americana - si direbbe oggi di calza che si ferma a metà polpaccio senza arrivare in modo invedibile sotto al ginocchio - dato il periodo di uscita del volume.
Siamo nei primi anni Ottanta, la moda si impadronisce di molti ambiti che riguardano il bello, il corpo e la sua espressività anche erotica iniziando un percorso che sfocerà negli anni Novanta in un neoliberalismo che farà del nudo e dell’erotismo qualcosa di glam, di (opinabilmente) chic, sdoganandolo come adulto, come sottolineano Albertine e Germano Zullo nella bella intervista condotta da Francesca Romana Grasso durante la quattordicesima edizione del Festival Tuttestorie e apparsa sul blog dei Topipittori col titolo Il grande gioco del corpo 
Incoronato ma privo di globo e scettro, questo moderno imperatore del Medioevo se ne andava con passo da processione e sotto al baldacchino in mutande, calze e scarpette accompagnato da quattro portantini con il viso girato dall’altra parte e le bocche spalancate tra l’attonito e lo sdegno. Le genti lungo la via, i loro abiti, i veli, sembrano muoversi impercettibilmente, girarsi ed allungarsi verso il loro imperatore così osè. Non si può passare oltre, a un altro imperatore tontolone, senza essersi soffermati quindi sulle imperiali mutande.
Hiroaki Ikeda le illustra in modo che chiamino l’occhio a fermarsi lì, che siano protagoniste per un attimo ponendole al centro di una scena inscritta in un tondo. Le nobili mutande sono celestiali, di un azzurro velo come le calze, misuravano, all’epoca, più o meno trentatre centimetri di altezza ma non erano considerate mutandoni, quelli avevano anche le gambe e arrivavano anche sino alla caviglia, un inserto di pizzo all’altezza della pancia e sul giro gamba le ingentiliva, impreziosiva e rendeva elastiche.
Una allacciatura sbieca sul lato destro ornata da piccoli bottoni ricoperti dello stesso tessuto permetteva di infilarle, sfilarle ed abbassarle, rendendole moderne rispetto ai drawers medievali trattenuti da un nastro in vita e aperti davanti e dietro. Il termine si riferisce infatti all’atto di scostare le due parti, di tirarle come tende, per poter procedere alle proprie faccende anche se sarebbe di molto più divertente e simbolico poter tradurre il termine inglese per il suo più immediato significato “cassetto”.
Ma a parte questo con quelle mutande ascellari, di quel punto di azzurro, con quel suo petto non più tonico, con un vello appena accennato al centro, anche questo imperatore va’, con quell’espressione tra l’imbarazzato e il compiaciuto di chi, a quell’età recita la sua parte seppur in dubbio di avere il ruolo di imbecille del reame. Non si può certo non amare tanta tenerezza, è proprio l'imperatore delle fiabe, lui e il suo vizietto da guardaroba! Inoltre segna un passaggio non da poco: dalla camicia lunga fino al ginocchio alle mutande per arrivare nel tempo a un imperatore completamente nudo e fiero anche dei suoi attributi in posizione anatomica perfetta! 

Hans Christian Andersen, Albertine, Il re nudo, Topipittori, Milano 2019


Come nel Il re nudo di Albertine Zullo,nella bella traduzione di Daniela Iride Murgia pubblicato da Topipittori.
Qui tutto risplende: gli agi di corte, la folla di genti bizzarre che la popolano, i ricchi vestiti dagli insoliti broccati, gli occhi che tanta parte hanno nell’infinità di espressioni che Albertine dipinge su un viso e poi su un altro rendendo una moltitudine umana da campionario, e tutto in un filetto stampato in blu. Che questo imperatore fosse particolarmente vanesio e attento, particolarmente a sé e alle mode ben lo si può notare già dalle prime pagine dove, in perfetto stile Albertine, una serie di pose da look-book ce lo mostrano in tenuta da tè con un abito fiorato ma non troppo, manica a sbuffo ma non impegnativa, ricamo equilibrato, insomma in tenuta da relax; mollemente adagiato su di un augusto triclinio, l’espressione di chi tende più a piacere che ad ascoltare, in una lunga vestaglia a disegni astratti e un minuscolo cappello in cima alla testa dai boccoli perfettamente arricciati. In tenuta da passeggio col cane e in posa da ritratto secentesco in marsina di gala, colletto steccato e ghetta, scettro ça va sans dire. Tutto è studiato nei minimi particolari, dalla punta del suo naso a quella delle sue scarpe, dalle pose all’espressione questo è decisamente il vero imperatore da guardaroba più che da gabinetto.

Hans Christian Andersen, Albertine, Il re nudo, Topipittori, Milano 2019  

Gucci, Collezione Uomo Autunno Inverno 2020/2021

Chiaro è che un uomo così ami sè stesso e il suo corpo più e sopra ogni altra cosa e che pur di mostrarlo...qui si rompe il tabù del nudo non certo con un imperatore di spalle che mostra le sue rosee chiappe pavoneggiandosi allo specchio nei suoi nuovi invisibili vestiti bensì con un giovane imperatore in parrucca codino e corona, lo scettro ad accompagnarlo alla moda di un bastone da passeggio, il petulante cane al posto del globo imperiale, una calza bordata da bargigli che fanno al paio con i suoi begli attributi di signore e di Re, elegante anche nella sua nudità, come sottolinea Albertine sempre nell’intervista sopracitata, e una scarpa degna del più antico e nobile nella sua arte, antenato di Christian Louboutin le roi de la chassure. 

In assoluto il più snello, elegante, bello, ricco, snob, ironico e incredibilmente intrigante imperatore della fiaba che Hans Christian Andersen scrisse in quel lontano secolo. Tutto qui è sospinto in avanti dalla prima all’ultima pagina le figure sono in cammino: dal naso puntuto al mento sporgente dell’imperatore che sembrano indicare una direzione che gamba e braccio sinistro e pene reale seguono decisi verso la fine dell’albo, alla folla disposta a torre come in un gioco di figurine umane a incastro, alla fuga dei due truffatori alla fine del libro, passando per il vuoto che si crea attorno a quel “Ma non ha niente addosso” di un bambino che guarda e vede bene e oltre, seduto sulle spalle del suo papà, e ancora verso altri capitoli di storia dei vestiti nuovi dell’imperatore. In fin dei conti la parata di corte deve proseguire. 



La pensava così anche l’americanissimo imperatore di Steven Guarnaccia che nell’ironico libro pubblicato da Corraini nel 2019 lo vuole più caricatura politica contemporanea che imperatore di altri tempi, boriosamente pieno di sé, antipaticamente aderente al cliché e inesorabilmente in mutanda, chè la nudità non è più ammessa soprattutto in un politico, ma coerentemente all’impostazione della sua versione della fiaba, firmata Brooks Brothers, andare fiero scettro in mano, verso la fine della parata.

Steven Guarnaccia, I vestiti nuovi dell’imperatore, Corraini Edizioni, Mantova 2019

Da qualche anno il sistema moda, sebbene in crisi ancora sistema, racconta una storia differente. I sopra e i sotto e non solo della borghesia, per citare uno dei più preziosi contributi alla storia dell'abbigliamento, stanno lentamente ma inesorabilmente, e impercettibilmente per chi cammina frettoloso ancora  guardandosi la punta delle proprie scarpe, cambiando narrazione. 

Il vestito non è nuovo perché in mood con la stagione, il vestito è nuovo nel suo sistema di comunicazione, di apertura verso l’altro, di narrazione di un sé non sempre nudo o che non ha potuto mostrarsi. Dopo l’unisex degli anni Sessanta, le t-shirt e i jeans degli anni Novanta perfettamente trasversali, nel difficile e confuso contemporaneo la sfida non è più il corpo nudo bensì l’andare oltre le differenze di genere abbracciando uno concetto di fluidità di genere o gender neutrality che possano lasciare ad ogni individuo la possibilità di indossare ciò che crede più idoneo al suo abitare più profondo in un abito che gli corrisponda potendo sfoggiare a 360 gradi la nudità profonda del suo essere fosse solo anche per un sentire passeggero. 

Certo il piccolo imperatore ancora fa fatica a indossare i vestiti nuovi dell’imperatrice ma qualcosa si sta muovendo anche attorno a lui. 

Ruud van Empel, Hero 2014

Ps: questo articolo esce per la prima volta a Gennaio 2021 sul numero dedicato alla fiaba di Libri Calzelunghe: A mille ce n'è...le fiabe tra leggenda e letteratura
      Pubblicato qui per gentile concessione del collettivo


Cover : Maxine Helfman, Fabrication - Iridescent Pink


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