Fuori di testa! Storia spettinata dell'umanitàdi Louise Vercors con le illustrazioni di Pierre d'Onneau

27 Ottobre 2020

Tra gli oggetti che vediamo regalati a un bambino alla nascita figurano quasi sempre una morbida spazzola e un piccolo pettine. Segno che di quei peli che crescono, a volte indomabili, sulla testa, per cultura, ci si deve occupare da subito: ancor prima che raccontino una storia, che diventino l’accessorio che ci connota in un gruppo o ne dichiara con forza la non appartenenza, che ci facciano somigliare a questo o a quello, o che diventino un elemento di segregazione razziale, un fatto politico o religioso.

Louise Vercors, Pierre d'Onneau, Fuori di testa! Storia spettinata dell'umanità, Donzelli editore 2020 

Hanno trovato da raccontarne Louise Vercors e Pierre d’Onneau di questi peli, che col tempo si son chiamati capelli, in un volume pubblicato da Donzelli dal titolo Fuori di testa! Storia spettinata dell’umanità.
Una storia raccontata in cinque capitoli, dove ad una sintesi efficace e curiosa nella pagina a sinistra, fa eco un’immagine al tratto che sfrutta il bianco del foglio facendolo diventare disegno e colmandone delle parti con una cromia che sceglie l’arancione come filo conduttore della narrazione. Non sono forse ancora oggi i capelli, detti rossi o fulvi, a destare  la maggior attenzione? Oggi ancora come segno di distinzione, di diversità, colore intrigante rispetto all’affascinante e desiderabile biondo, alternativa divertente e giocosa a quel nero cupo che per tanti secoli è stato poco considerato. Ma, ahimè, il rosso forse fra tutti il colore più discriminato e per la donna nella storia non certo positivo. Una testa fulva affascina desta ammirazione ma rende visibili e ancora preda di quei pregiudizi verbali che si tramandano da secoli e nei secoli. Il più buono dei rossi, dice un proverbio, ha gettato suo padre nel pozzo. E’ il colore di tutte le teste ricciolute dei monelli di ogni età, dei bambini della letteratura a partire da Pippi Calzelunghe, degli originali. Nel XIII secolo re Luigi il Santo costrinse le prostitute a tingersi i capelli di rosso per distinguerle dalle dame rispettabili. Il diavolo poi ci mise lo zampino legando agli inferi, e a sè stesso, sia il rosso che il nero. 

Un colore, il nero, poco amato che dovrà attendere il XIX secolo per destare attenzione così costantemente offuscato dall’angelico biondo com’è stato sin dalla notte dei tempi. Coraggiose le donne more ma estremamente vendicative, nel corso dei secoli le si associa alle streghe sino a considerarle diaboliche! Questo almeno sino alla Carmen di Merimée musicata da Bizet; sino a che Flaubert, Zola, Balzac e Loti non ne fanno delle donne  più passionali e sensuali rispetto alle bionde che il cinema americano degli anni sessanta, rende bellissime, desiderabili ma stupide, andando ad acuire antagonismo, risentimento e dando adito ad un linguaggio che predilige battute sessiste. 
Nero è poi il colore delle chiome dei neri di tutto il globo. E’ qui che colore, caratteristica fisica e apartheid si fondono diventando una cosa unica. La stessa Michelle Obama negli anni del mandato del marito mai si è presentata agli americani con i suoi capelli naturali, nascondendo quel nero, crespo, estremamente riccio in acconciature che anche le donne bianche avrebbero trovato desiderabili. Il principio dell’accettazione passa anche per i capelli. Le brave e ordinate bambine hanno le trecce, portano i capelli raccolti o fermati sulla nuca da un cerchietto. I bambini per bene portano i capelli corti, la riga e il ciuffo ben sistemato, né troppo lungo né troppo corto. Niente capelli selvaggi, riccioli sciolti, quel malefico crespo a vista; nessun effetto pannolino, così vennero paragonati i capelli dei neri afroamericani, a qualcosa di morbido, di cotone, simile a un pannolino anche per la forma rotonda, su grandi e piccini per rispondere ai canoni di bellezza definiti dalla classe dominante. Un fatto politico quindi e sociale la natura dei propri capelli e la scelta della loro acconciatura. Bisognerà attendere gli anni sessanta e le lotte che li connoteranno per vedere donne e uomini afro sfoggiare le loro capigliature naturali per mostrare e affermare la propria unicità etnica. 

In qualsiasi caso, in un modo o in un altro, tinti o naturali, afro o punk, biondi o mori, il nostro modo di portare i capelli serve ad affermarci come individui, a rispecchiare la nostra personalità e il nostro stare al mondo. I capelli sono di fatto un accessorio molto divertente con cui giocare da sempre: si possono tingere, decolorare, acconciare, rasare, rendere assimmetrici, lasciarli crescere a trascinarli a terra come in epoca vittoriana o rasarli a zero come uno skinhead. Alcune pettinature sono poi strettamente legate al personaggio che per primo ha osato acconciarsi in quel modo, rendendo i suoi capelli il suo tratto distintivo, il suo parrucchiere un uomo, o una donna, ricco al punto che, anche senza le indicazioni del suo viso, possiamo tranquillamente dire di chi si tratta. Sono così importanti per l’umanità che entrano nel lessico quotidiano più e più volte al giorno, senza neppure che ce ne si accorga, citati in miriadi di modi di dire  tra i quali, forse i più frequenti, quell’averne fin sopra ai capelli e quello di avere, appunto, un diavolo per capello! I secoli a volta non passano, le ere paiono tornare!

Fuori di testa! Storia spettinata dell’umanità
testi di Louise Vercors 
illustrazioni di Pierre d’Onneau
traduzione Adelina Galeotti
Donzelli editore, Roma 2020
15 euro

 




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