16 Gennaio 2021

Peter Pan di James Matthew Barrie con le illustrazioni di Tatjana Hauptmann

James Matthew Barrie, Tatjana Hauptmann, Peter Pan, LupoGuido, 2019

Come in un piccolo rito, quello di ripescare dal passato, di riportre le storie, quelle belle, agli occhi e alle orecchie delle bambine e dei bambini, LupoGuido restituisce loro la favola di Peter Pan, scritta in versione teatrale nel 1904 da James Matthew Barrie e data alle stampe sotto forma di romanzo nel 1911 con il titolo Peter and Wendy. Quella che arriva sul finire di quest’anno è la versione illustrata nel 2016 da Tatjana Hauptmann ancora inedita in Italia, un capolavoro di 205 pagine dal colore dei sogni.

Doppi risguardi attendono il lettore, che in questa versione tradotta da Marta Barone può essere indistintamente piccolo, un po’ più grande, grande sino a molto grande, data la trasversalità della favola – del resto chi può negare con ferma lucidità e senza temere naso lungo e gambe corte di non aver desiderato almeno un po’ essere Peter Pan e tale rimanere? – e data anche la cura della traduzione, che rende il testo di grande godibilità a qualsiasi età.

James Matthew Barrie, Tatjana Hauptmann, Peter Pan, LupoGuido, 2019

Eccoci in un cielo che assume toni boreali, tingendosi di verde al chiarore di un nugolo di lucciole che ammiccando invitano a seguirle, trasportando chiunque osservi in un gorgo punteggiato come in una notte d’estate stellata e poi, in quel perdersi a naso in avanti, quella leggera brezza. Una pausa bianca annuncia a grandi lettere il titolo, in silenzio guardando in alto, ci si può passare sotto. Quel che si trova poi girando pagina è il preludio. In un’ immagine che apre e chiude il libro, speculare, proprio come un doppio risguardo, Tatjana Hauptmann crea tutte le situazioni di attesa, quella suspense che è l’inizio di una lunga notte. Mettetevi comodi quindi, sistematevi seduti ben accanto l’un l’altro, tirate su le coperte sino al mento: tutto inizia in una sera calda, il cielo è punteggiato di stelle, i camini sbuffano nuvole di fumo bianco, il cielo è oscuro, le finestre sono chiuse, le luci via via, una ad una, si spengono. Il bel quartiere di Bloomsbury, a Londra, in quei primi anni del ‘900 è quieto e sonnecchiante, eppure in un angolo, in basso nella pagina, un gatto nero arriva in velocità, sembra di sentirlo miagolare, qualcosa lo ha distolto dal suo andare notturno. Una leggera brezza solleva le tende della camera dei bambini al terzo piano: stranezze della notte, là la luce è ancora accesa, la finestra aperta, le tende sollevate dolcemente dall’aria notturna sembrano rispondere a un richiamo. In quell’aria si mescolano le note di un flauto. Tatjana Hauptmann gioca con i colori per attirare l’attenzione del lettore. La scena è verticale, le case di solidi mattoni sono imponenti, tutto sembra parlare di quel pezzo di città residenziale dove particolari rumori vengono a scuotere la solita tranquillità serale, tanto da spingere la piccola servetta di casa Darling a riaccendere le luci al piano terra, che si tinge dei toni caldi del giallo e dell’arancione richiamando il nostro sguardo a una lettura orizzontale. Ma lasciata la donnina, che immaginiamo guardare prima a destra e poi a sinistra, lo sguardo risale sin su, passa per il piano della nursery attirato dallo stesso colore e dalla tenda svolazzante per posarsi su una stella particolarmente brillante, gialla aranciata. È lì, tra i fumi dei camini di Londra, che l’occhio percepisce un’ombra ritta sul tetto. È lì che i lettori, in bilico sul colmo del tetto, incontrano Peter e le note del suo flauto. Ed è solo l’inizio, un inizio tutto visivo.




Di molte pagine e parole oltre, un’altra illustrazione attira l’attenzione – più di altre s’intende – per la capacità di narrare quel gioco fantastico, quel facciamo che, che porta in altri mondi pur restando nella propria cameretta. Non stupisce certo quel muro come tappezzato di una carta dal fondo di un giallo quieto a piccole rose rosa. La regina Vittoria è mancata da poco e le rose continuano a ornare i giardini e le case inglesi, é quindi assolutamente normale per una bimba di allora desiderare piccole rose anche alle pareti della casa dei suoi sogni: che vuole piccola, forse come la sua cameretta, e ornata sicuramente come questa. Da una capanna fatta di tronchi d’albero, immaginata che sia, occhieggiano Wendy e il piccolo Michael, mentre John dorme appena fuori, sdraiato sul prato, tappeto o letto che sia, capelli spettinati e braccia sotto la testa. Da qui tutto è immaginabile, e fosse solo per quel filo al quale sono cucite bandierine colorate a ornamento della capanna, quelle bandiere che si innalzano sul tetto a costruzione quasi terminata, ornamento di ogni cameretta, accessorio di giochi ed elemento fantastico. Fossero solo loro a stabilire un dentro e un fuori. Un immaginario e un reale. La capanna risulta fragile, tracciata con l’acquarello, seppure ben intrecciati quei fili marroni parlano di acqua. E mentre il testo racconta di bambini smarriti che si fanno in quattro per costruire una solida casa proprio come la vorrebbe Wendy, coi migliori legni e la resina rossa, con le rose e un battiporta molto rudimentale, dentro il clima è sereno, piccole ombre come personaggi di una fiaba scorrazzano per il tappeto, allontanandosi e se John si svegliasse si potrebbe giocare.

James Matthew Barrie, Tatjana Hauptmann, Peter Pan, LupoGuido, 2019

Così facendo, le illustrazioni di cui parlare sarebbero molte: la prima lettura a testo non tradotto è stata attraverso il pennello della Hauptmann che restituisce ai bambini una favola sì, un ottimo testo, ma anche il sogno di ritrovarsi risucchiati in quel mondo dal quale è difficile far ritorno. L’immagine di chiusura, eco di quella di apertura, sta proprio lì, alla fine, a racchiudere e a tenere lì la storia e il gioco: a invitare a tornare, a rigiocare, a prendere altre parti, a essere qualcun altro, ché nel gioco del fare si può fare. Sui capelli che la Hauptmann regala ai suoi bambini ci sarebbe da aprire un paragrafo: vi rientrerebbero ricci e rose, spazzole e pettini in crisi di identità, convinti ormai di non sapere fare più quel lavoro per il quale son diventati oggetti e molto rispettabili. Eppure, se li guardi bene non c’è contrasto, ci si muove anche, e si può volare, perché si ha un pigiama ampio e un po’ spiegazzato e capelli che da soli fanno balzare in movimento.

Certo, se si volesse spendere qualche altra parola, e soffermarsi ancora un po' tra le pagine e dentro le figure, non si potrebbe certo non dedicarla a lui: a James Uncino, per gli amici Jas. Il suo stile è assai ricercato, pare fosse parente degli Stuart, ma questo succedeva in un'altra vita, e di quel Carlo II conserva tutta l'imponenza regale, sebbene ormai pirata, la somiglianza nei tratti, i baffi certo non appena accenati e ben curati.  No, i suoi più lunghi, nero pece, impomatati e arrotolati, appuntiti e coordinati a un pizzetto lungo e sottile come una treccia. I bei boccoli lasciati ricadere sulle spalle sono neri anch'essi e della stessa sfumatura dei baffi, così come il suo abito, sebbene sempre in perfetto stile, non certo bianco come quello del parente reale ché il bianco poco si addice all'eleganza piratesca, alle stanze e alla polvere da sparo dei cannoni della sua dimora marina. Solo l'ampia camicia resta ovviamente bianca -  si dovranno attendere svariati secoli prima che una camicia assuma un tono vagamente azzurro o mostri una riga - ricco jabot rifinito in dentelle di pizzo ma rigorosamente nero così come sui ricchi polsi  che sporgoo dalla marsina color rosso, unico accenno a quelle nobili origini di cui sopra. 
Una marsina decisamente sonora, che almeno questo un pirata possa permetterselo: la libertà di vestirsi come vuole!
Al suo sarto certo non dava limiti e non si sa se solo per problemi di danaro ma la regale marsina rossa era profilata da un bordo riporortato in tessuto turchese, lo stesso della fodera a righe che sapientemente la Hauptmann lascia intravvedere: non sia mai che un pirata non indossi una riga, fosse solo per non rimanere in mare invisibile, non sia mai che un sarto non trovi un profondo piacere nel trasgredire ornando. Certo il tricorno pare più un canestro nel quale raccogliere e collezionare le piume dei piccoli indiani assieme a piume di più nobili volatili, spumeggianti e colorate. Resta che la prima impressione, seppure in nero, sia quella di un canestro per la frutta o di un mastello per l'acqua. Adorabile, uncinato, Jas.

Questo articolo è apparso la prima volta il  15 Dicembre 2019 su Luuk Magazine, è riportato qui arricchito di alcuni approfondimento e di nuove illustrazioni.

Peter Pan
di James Matthew Barrie
illustrazioni di Tatjana Hauptmann
traduzione Marta Barone
edito LupoGuido, 2019
€30

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