25 Febbraio 2021

Les Robes di Germano Zullo e Albertine

Germano Zullo, Albertine, Les Robes, La Joie de Lire, Ginevra 2014

Sulla quarta di copertina di Les Robes, un albo dal grande formato di Germano Zullo e Albertine edito da La Joie de Lire nel 2014, la grande domanda: broccati, chiffon, pizzi, crinoline, taffetas, seta, organza, gabardine, raso, ottoman, mussolina, popeline...ma chi c’è sotto quei bei vestiti?  Chi li indossa? Quanti tessuti, quanta tecnologia, quantità di studio, viaggi da rocamboleschi a pericolosi, vere e proprie sfide degli elementi per finire nelle braccia di piratesse e pirati. Quante macchine e invenzioni per aggiornare tramature e perfezionare un tessuto tanto da non doverlo neppure toccare per percepirne morbidezza, fascino, sensualità. Quanti uomini hanno zappato, dissodato, raccolto, seccato, schiacciato, diluito, per cercare la tinta giusta, la corposità, la cremosità di un colore, la qualità donante, ricca, desiderabile. Quante mani da molto piccole a rugose hanno toccato, tagliato, cucito, ricamato. Quante labbra si sono dischiuse contando in un  sussurro un punto dopo l’altro. Quante femmine hanno desiderato senza poter ambire. È la storia, che parte da lontanissimo, dell’abbigliarsi per essere belle e belli, per piacersi o per piacere. E nulla è mai a caso, mai scontato, una qualche regola c’è, qualcuno si somiglia, ma le regole si sa sono fatte per essere sovvertite. Dunque chi è colei che mi viene incontro, chi è veramente la persona che abita quel vestito, che lo ha scelto e senza dubbi indossato? 



Germano Zullo e Albertine ne immagino venti. Venti donne che esprimono sé stesse in quel che indossano, tra il serio e il faceto, tra abito e costume. Come in una rivista, tra le più pregiate di un tempo, o come l’ordine di uscita di una sfilata a inviti, i croquis sono grandi, ben ammirabili, dettagliati, desiderabili, ad ognuna il suo. Nella pagina a sinistra la sequenza: primo abito, secondo abito, terzo e così via. Una breve didascalia li descrive a parole in modo esaustivo: chi ha dei grossi rigonfiamenti sui fianchi come conchiglie ornamentali, chi gonne nere a grandi pois bianchi e motivi di teste di extraterrestre rosa che sembrano apparire dalla nervatura che segna la piega, completa il tutto una cuffia abbinata; chi ha grandi occhi sparsi qua e là dal bustier alla gonna, come un ricamo prezioso e luminoso, chi ha letteralmente la testa avvolta in una nuvola blu. Ogni indossatrice così particolarmente abbigliata nel croquis, sulla pagina di destra, ha un nome e un'aspirazione, una professione, una personalità riflessa nell’abito che indossa. Ma attenzione si parte sempre dall'infanzia.

La mamma di Olaf, per esempio, vende gelati al parco dei divertimenti Wonderland, lui è convinto che lei abbia dei super poteri, oltre al diventare invisibile, riuscire a vedere attraverso i muri, nuotare e come un pesce senza respirare, volare dulcis in fundo sa anche trasformarsi in un uomo. Che sia una divisa quel suo buffo abito? La divisa delle ragazze della gelateria del Wonderland? Chissà! Comunque la mamma di Olaf sfoggia una gonna pistacchio con sottogonna giallo come una parigina tempestata di gocce di cioccolato, sui fianchi due grosse cupole come gelato alla fragola o mammelle pronte a sgorgare latte fresco. Il corpino è aderente e rosso con il seno ben evidenziato in rosa, chiude la composizione un copricapo nero con due lunghe orecchie: si direbbe di poterla prendere proprio per quelle orecchie, come un gelato sul suo bastoncino. Abito da lavoro.
Jamila non si arresta mai, ama fare della conversazione su qualsiasi cosa e situazione pur di parlare. Non è un problema se è a scuola o altrove, come se nulla attorno possa riguardarla quando comincia a parlare non bada a null’altro e i fatti della sua famiglia, passando di palo in frasca come si dice, sono prontamente spiattellati, conditi, ornati, abbelliti, gonfiati e serviti. Certo amerà un giorno il completo numero sei, il sesto abito di questa memorabile collezione: una morbida e avvolgente, orizzontale, bombata nuvola di lana blu. Nuvola sì, per una testa tra le nuvole à la page. Una marsina nera con doppi bottoni e piccoli bottoncini a chiuderla fino in fondo, nuvole d’organza bianco latte sbucano della manica racchiuse da uno stretto polsino e sotto la giacca...un abito beige, linea ad A stampato a motivi onirici: teste che pendono da rami di rose, banchi di pesci che sbucano da un taglio a oblò, nuvole e uova per l’estrosa e chiacchierona, instancabile sognatrice, amabile affabulatrice Jamila.
Pescando ancora qui e là tra le pagine l’ottavo abito è dedicato a una giovane donna di nome Othilia. Quando era piccola Othilia desiderava diventare psicoanalista, tutti in casa sua lo erano, femmine e maschi, di madre in figlia e di padre in figlio era ormai considerata una tradizione di famiglia. Certo c’era chi pensava fossero stregoni, la mamma addirittura era soprannominata Carabosse, la ricordate? la fata cattiva de La bella addormentata. Se la piccola Othilia domandava cosa significasse essere uno psicanalista nessuno le sapeva rispondere, bofonchiavano, dicevano cose incomprensibili, fino a che un giorno la maestra le disse, sempre bofonchiando, che era una specie di dottore. Ecco allora perché Othilia sceglie per sè un abito tempestato di occhi attenti: una lunga fila a mò di bottoni e poi sparsi sulla gonna come a tempestarla.
Per scrutare, guardare profondamente, osservare, vedere oltre ciò che si vede, per guardare le persone con uno sguardo sempre diverso, una manciata di occhi come pietre preziose e un copricapo a goccia, giallo, per contenere tutte quelle immagini.

E così di abito in abito, un po’ abito un po’ travestimento, un po’ sè stessi e a volte anche il proprio personaggio pensato e creato per l’occasione, anche solo di una sfilata molto particolare.


Les Robes
di Germano Zullo e Albertine
edito La Joie de Lire, Ginevra 2014
euro 19,90

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